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Le prime osservazioni di stelle doppie

[Umberto Fedele: Coelum, Vol. 17, pp. 65–69, 1949, reproduced with permission]

Secondo un'antica versione tuttora generalmente seguita la prima stella doppia scoperta è stata Mizar (Zeta Ursae Majoris), e la scoperta sarebbe stata fatta da Riccioli verso il 1650 [1].

Non vi è nulla da obbiettare alla priorità di Mizar come stella doppia. Anche le altre affermazioni possono considerarsi valide se ci si riferisce alla data in cui la scoperta è stata resa pubblica con la stampa. Ma se si ha riguardo alla data (desunta, bene inteso, da documenti di assoluto valore probatorio) in cui una stella doppia è stata per la prima volta separata col cannocchiale, conviene dire che Riccioli era stato preceduto da oltre trent'anni da Benedetto Castelli e da Galileo.

A quanto ha scritto Vasco Ronchi nel suo libro Galileo e il cannocchiale (Udine, 1942), il primo accenno a Mizar come stella doppia sarebbe anzi ancora anteriore, e lo avrebbe fatto niente memo quel mattoide di Martino Horky, il quale si sarebbe accorto della duplicità di Mizar con lo stesso cannocchiale di Galileo nella famosa riunione bolognese del 24–25 aprile 1610. «Non solo, ma l'A. vide doppia anche la Mizar dell'Orsa Maggiore». Così il Ronchi, il quale, rilevando che Mizar è realmente doppia, conclude che l'Horky aveva veduto proprio quello che si doveva vedere (op. cit., p. 266).

Siccome questa circostanza mi giungeva assolutamente nuova, ho voluto controllarla rileggendo la Peregrinatio e il carteggio dell'Horky, ma senza trovare conferma dello sdoppiamento di Mizar, per cui l'attribuzione di questo all'Horky deve essere considerato un errore d'interpretazione. Infatti l'Horky parlava del cavaliere, cioè di Alcor, e non di Mizar, e non ne parlava neppure come di stella doppia, ma solo diceva di aver osservato vicine ad Alcor quattro piccole stelle simili ai satelliti di Giove; stelle che ironicamente proponeva di chiamare pianeti orsali e che offriva a Galileo, insieme ad Alcor, come dono per l'anno nuovo! Dunque, nessuna allusione a Mizar come stella doppia, e l'unica menzione fatta dall'Horky della duplicità di una stella rimane quella che riguarda la Spica (Alpha Virginis); cioè una duplicità puramente illusoria.

La prima constatazione certa della duplicità di Mizar va invece fissata al 1617 e fu fatta da Benedetto Castelli e subito dopo da Galileo i quali, almeno sulle prime, pensavano che le due stelle costituissero una doppia semplicemente ottica. Nel 1616 e nel 1617 fra il Castelli a Pisa e Galileo a Firenze si era stabilita una stretta collaborazione, e l'entusiasta Castelli sotto la guida di Galileo cercava di mettere in evidenza nella posizione apparente di qualche stella brillante, e quindi presumibilmente più vicina, quegli spostamenti dovuti al movimento annuo della Terra, la cui mancanza costituiva una delle più gravi obbiezioni al sistema copernicano.

La storia delle vie escogitate da Galileo per determinare in modo diretto o indiretto le parallassi stellari constituirebbe un capitolo attraentissimo, ma mi porterebbe lontano dall'argomento. Debbo quindi limitarmi ad accennare che in questa occasione il concetto ispiratore era quello che più tardi Galileo stesso descriveva nella terza giornata dei Dialoghi sui massimi sistemi con queste parole: «quando si trovasse col telescopio qualche piccolissima stella vicinissima ad alcuna delle maggiori, e che però quella fusse altissima, potrebbe accadere che qualche sensibile mutazione accadesse tra di loro, rispondente a quella dei pianeti superiori».

Il Castelli aveva già fatto altre ricerche, generalmente nell'Orsa Maggiore che, per il fatto di non tramontare mai, sembrava particolarmente adatta. Dopo alcuni resultati che al Castelli erano sembrati incoraggianti e pieni di promesse, gli capitò sott'occhio Mizar, ed egli stesso ne dava notizia a Galileo in una lettera del 7 gennaio 1617 (Galileo: Opere; Prima Edizione Nazionale – Lettera n. 1241) nella quale, dopo aver fatto un'esposizione di osservazioni esequite o progettate, proseguiva: «Desidererei che V. S. Ecc.ma, concedendoglielo la sanità, una sera desse un'occhiatina a quella stella di mezzo delle tre che sono nella coda dell'Orsa Maggiore, perchè è una delle belle cose che siano in cielo, e non credo che per il nostro servizio si possa desiderar di meglio in quelle parti».

«Una delle belle cose che sia in cielo» scriveva il Castelli, ed effettivamente Mizar è una delle più belle doppie luminose, che il più modesto cannocchiale sdoppia senza difficoltà, in due fulgidi astri bianchi di grandezza 2,4 e 4,0. Il suo interesse anzichè diminuire, si è ancora accresciuto col tempo essendosi scoperto che la componente principale è una doppia spettroscopica, e alcune oscillazioni nella posizione della componente minore hanno fatto sospettare anche questa di duplicità. Oggli sappiamo che le due stelle principali costituiscono una doppia fisica, e quindi sarebbero state controindicate per una ricerca di parallasse differenziale; ma il Castelli, che non lo sapeva, nè avrebbe potuto saperlo se non dopo matura prova, aveva ritenuto che la vicinanza fosse casuale e puramente prospettica e che la differenza di splendore fosse indice di una differenza nelle distanze rispettive dalla Terra.

Anche Galileo ha osservato questa stella doppia e ne ha lasciato una minuziosissima descrizione latina (Opere: Prima Edizione Nazionale, vol. III, parte 2a, p. 877). Questa osservazione non à datata; però il mese e il giorno si ricavano chiaramente dall'indicazione della longitudine occupata dalla Terra al momento dell'osservazione, che secondo Galileo era di 25° del segno del Cancro, ossia di 115°. Questa posizione corrisponde al 15 gennaio. Resta sempre indeterminato l'anno; ma io credo di non andare errato attribuendo l'osservazione al 1617 per due considerazioni.

Anzitutto è verosimile che, messo in curiosità dalla segnalazione del Castelli fattagli in termini alquanto misteriosi e così invogliatori, Galileo si sentisse stimolato a verificare subito l'osservazione, e la data del 15 gennaio si accorda in modo mirabile con quella del 7 gennaio della lettera scritta dal Castelli nel 1617.

Un altro argomento a favore del 1617 è che precisamente in quel torno di tempo Galileo faceva delle ricerche analoghe su altri aggruppamenti di stelle ed ha lasciato una descrizione non memo minuziosa e precisa, accompagnata anche da un piccolo disegno, di un gruppo di cinque stelle nella spada d'Orione, nel cui aspetto caratteristico è facile riconoscere le stelle principali (Theta Orionis e compagne) avviluppate nella grande Nebulosa M.42, sebbene rimanga un mistero come in un'osservazione tanto meticolosa Galileo non abbia veduto anche la Nebulosa, che già una prima volta gli era sfuggita nel 1610, quando aveva osservato e disegnato la regione del cinto e della spada. Ora questa descrizione porta l'indicazione completa della data e del luogo di osservazione, che è la seguente: «die 4 Februarii 1617 a Bellosguardo» (Galileo: Opere; Prima Edizione Nazionale, vol. III, parte 2a, p. 880).

Nella nota relativa a Mizar Galileo incomincia col dare le coordinate (longitudine e latitudine) della stella; poi indica la longitudine della Terra in quel momento, ossia, come ho già accennato, 25° del segno del Cancro. Quindi Galileo dà la distanza angolare fra le due componenti, che trova di 15" È apprezzabilissima la precisione di tale resultato perchè le misure moderne ottenute col micrometro dànno 14",5. In esso Galileo dà prova di un'abilità straordinaria, acquistata indubbiamente nelle lunghe serie di osservazioni dei satelliti di Giove. Nel cannocchiale le stelle presentavano un disco sensibile, e Galileo valuta il semidiametro della stella maggiore di 3"; quello della minore di 2", e quindi di 10" l'interstizio fra l'una e l'altra. Basandosi su questi resultati, Galileo, che naturalmente ignorava la diffrazione e i suoi effetti e le aberrazioni strumentali, e credeva che i dischetti fossero in rapporto con le dimensioni effettive, cerca poi di farsi un'idea della distanza della stella maggiore dalla Terra, partendo dall'ipotesi che il suo diametro reale sia uguale a quello del Sole.

Accennerò infine che dieci anni dopo, il Castelli, allora a Roma, vide un'altra stella doppia, e precisamente Beta Scorpionis, la quale – scriveva in una lettera a Galileo – «ha una stellina vicinissima, più settentrionale di essa nella continovazione dell'arco delle tre della fronte». E domandava qual giuoco dovesse fare, movendosi la Terra, nel caso che fosse assai più lontana dalla Terra della compagna. Questa lettera (Galileo: Opere; Prima Edizione Nazionale – Lettera n. 1834) porta la data del 7 agosto 1627, e quindi anch'essa è anteriore di circa 23 anni all'osservazione di Mizar da parte di Riccioli. Nel 1650 tanto Galileo, quanto il Castelli, erano morti la parecchi anni.

Footnotes

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[1] Quest' affermazione fu ripetuta più volte da vari autori, ma senza indicazione della fonte; si deve al nostro diligentissimo dr. Fedele la ricerca paziente, coronata da successo, nelle 763 pagine in-folio dell' Almagestum novum riccioliano (Tomo I, Parte I, p. 422, prima colonna, linea 15 dal basso, Bologna, Benassi, 1651) ove si legge: adeo ut stella unica videatur quae media est in cauda Ursae majoris, cum tamen sunt duae, ut Telescopium prodidit etc. (N. d. R.).